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Famiglie che abitano in parrocchia: storie, amicizie, incontri…per un volto fraterno e missionario della Chiesa – Intervento di Eugenio di Giovine

UNA PREMESSA

Un nome in progress – L’espressione Famiglie missionarie a Km0  nasce da un lungo tentativo di dare un nome al gruppo delle famiglie residenti in parrocchia in diocesi di Milano e dei preti che le accompagnano. Un nome in progress che vogliamo verificare e confermare nel tempo, via via che l’immagine di queste esperienze prende forma.

Molte della famiglie che partecipano al gruppo vengono da un periodo in missione e trovano nel risidere in canonica un’opportunità per ‘restituite’ il loro vissuto ecclesiale a casa, “a Km0”. Con questo nome vogliamo anche dire che ci sentiamo in un tempo in cui è necessario re-imparare ad annunciare il Vangelo, anche qui in Italia, ridisegnando il volto missionario delle parrocchie. Con questo non intendiamo distogliere forze o attenzione dalla missione più tradizionale, ad gentes, ma sottolineare il tema dello “scambio” tra chiese sorelle e tra diversi vissuti ecclesiali.

Ci piace richiamare, sapendo di semplificare, quest’immagine: “Dio non dà i punti per i Km che si fanno, ma per l’amore che ci metti. Se tu attraversi la via per fare la catechista, o ed io invece attraverso l’oceano per fare il missionario ad gentes, ed entrambi lo facciamo col cuore, abbiamo tutti e due lo stesso punteggio.”

Un tentativo di mappatura – In occasione di questo incontro abbiamo tentato ‘fare una fotografia’ della realtà delle famiglie in parrocchia in diocesi di Milano ed in Italia. Il desiderio di gettare questo sguardo ampio nasce da ciò che don Mario ha già detto oggi: sembra il tempo propizio perchè qualcosa possa succedere e, come ci sembra di intendere oggi con la vostra e la nostra presenza, forse, sta già succedendo.

Ci sono certamente alcuni fatti contingenti che segnano la nostra epoca: la contrazione del numero dei presbiteri, tutto ciò che ruota attorno all’evoluzione dei beni della Chiesa, un diverso ruolo della famiglie ed un calo di presenza consistente nelle comunità parrocchiali ,… .

A fronte di questi elementi di fragilità  abbiamo tuttavia scoperto solide vocazioni “formato famiglia” che pensiamo siano una risorsa per la Chiesa: famiglie che desiderano condividere il proprio vissuto ecclesiale: Emanuela e Nicola vengono dallo scautismo, Daniela e Enrico dalla parrocchia, Christian e Cristina dalla pastorale giovanile, Giovanni e Chiara – e numerose altre coppie come loro- dall’esperienza missionaria … . Intuiamo che c’è la disponibilità ad un servizio alla Chiesa locale che può trovare in questo tipo di impegno residenziale ‘a Km0’, una forma di espressione.

Con la nostra Chiesa di Milano e la Chiesa in generale dobbiamo non solo domandarci che “che si può fare per il futuro” , “quali cammini per queste famiglie?” ma possiamo già entrare nello specifico, cercando un “dove” e “quando” visto che ci troviamo davanti ad un desiderio solido delle famiglie, che c’è già ed è ricco e vivo.

Al convegno missionario nazionale a Sacrofano,un vescovo confidava che in passato per poter proporre formule che rompessero gli schemi tradizionali o inusuali bisognava trovare ‘il teologo controcorrente’, ‘il vescovo sudamericano’ o far da soli…ora, abbiamo direttamente un Papa così!

RIPERCORRENDO LA NOSTRA STORIA: CONTATTI, AMICIZIE, DOCUMENTI

Ho pensato di raccontare la storia di questo gruppo, ed in generale dell’esperienza delle famiglie in parrocchia, attraverso la storia delle amicizie nate nel percorso a e seguendo il filo della narrazione della mia esperienza personale.

Tutto nasce in un quartiere periferico di Milano, Quarto Oggiaro, alla parrocchia Pentecoste…e qui dobbiamo dire che il nome non poteva essere più profetico!

Marco e Marta, di ritorno  da un’esperienza missionaria in Ciad con i loro bambini, avviano un’esperienza di fraternità missionaria con il parroco don Alberto. Marco e Marta, formati dal Centro Fraternità Missionarie di Piombino, avevano già vissuto questa esperienza in missione e a Pentecoste trovano terreno per poterla vivere di nuovo. Ci sarebbe qui molto da dire perché veramente a Milano consideriamo la loro come ‘esperienza pilota’.

In quegli anni, altre famiglie vengono inviate come fidei donum dalla Diocesi di Milano.

Io e mia moglie Elisabetta partiamo per il Venezuela, inviati per un lavoro pastorale simile a quello di Marta e Marco. Ci viene affidata la pastorale di una comunità di 18.000 persone, della gestione della comunità in corresponsabilità con i frati. Qui ci sono Marco e Ilaria che ricoprivano lo stesso ruolo in Venezuela prima di noi: abbiamo avuto la fortuna di poter dar seguito ad un progetto già avviato. Guardando al loro esempio, io ed Elisabetta ci chiedevamo fin da allora cosa sarebbe successo una volta rientrati in Italia.

Nel 2007 la Conferenza Episcopale Italiana fa uscire un documento in occasione dei cinquant’anni dell‘enciclica Fidei Donum di Pio XXII (Ci sono tanti documenti della Chiesa Italiana che si potrebbero citare, scelgo questo perchè è stato significativo alla nostra esperienza) In questa occasione i padri aggiornano l’enciclica modificandone il linguaggio e, notiamo, al punto 14 inseriscono questa novità:

  1. In varie diocesi si sta facendo strada la prospettiva di “fraternità fidei donum”, composte da diverse figure ministeriali, come un sacerdote, un diacono, una famiglia, uno o più religiosi e religiose, un catechista, un professionista… .Sono forme congruenti con la cooperazione missionaria come è stata da noi delineata, la cui positività è legata anche ad alcuni criteri che I candidati a una “fraternità fidei donum” devono possedere una solida e comprovata maturità psicologica, aver dato prova di essere capaci di vivere e lavorare insieme e avere una chiara e convinta coscienza della loro peculiare identità. Nella fraternità ogni figura deve avere spazi e momenti propri, per vivere la vocazione che la contraddistingue. Gli invii devono essere concordati dai due ordinari a seconda delle disponibilità della Chiesa inviante e delle necessità di quella ricevente. Fondamentale è la preparazione, che deve vertere La fraternità entra nella comunità a cui è destinata in maniera discreta, attenta ai comportamenti e alle usanze del luogo in cui si inserisce, secondo il metodo oggi chiamato dell’“acculturazione”. La fraternità è attenta a restare “aperta” alla Chiesa diocesana che la accoglie, senza ripiegarsi su se stessa: i presbiteri ricercando la comunione con il presbiterio, i laici costruendo rapporti di autentica amicizia con altri laici e con famiglie. Dalla fase della preparazione sino al rientro la fraternità è seguita dal vescovo della diocesi che invia o da un suo delegato, mantenendo stretti rapporti non solo per il sostegno economico, ma anche per la preghiera, il confronto e lo scambio. La comunità diocesana deve dunque avere piena coscienza dell’invio, che va ben oltre una generica simpatia.

Questo passo sembra dirci che i vescovi stessi propongono esperienze di “invio fraterno”. Si parte già insieme, non ci si aggrega in seguito: la figura “plurale” è costitutiva dell’invio missionario stesso. Quest’idea di fraternità è una proposta che ci viene in qualche modo donata dalla Chiesa stessa.

Nel 2008 rientrati in Italia per una breve vacanza estiva, incontriamo il Cardinale Tettamanzi (tradizionalmente il cardinale incontra i missionari durante l’estate). Abbiamo così l’opportunità di raccontare al cardinale la nostra esperienza e lui si mostra molto stupito, anzi quasi sbalordito. Io al momento ricordo di essere rimasto un po’ perplesso dalla sua reazione. In seguito poi ho avuto modo di leggere l’omelia da lui scritta in occasione della precedente Messa Crismale – una sorta di “programma dell’anno” pastorale.  Qui, un riferimento:

“Il riferimento alla comunione corresponsabile, nel rispetto e nella valorizzazione dei compiti e delle responsabilità propri di ciascuno, non dovrebbe portarci ad apprezzare meglio le forme incipienti di comunione tra presbiteri e famiglie che realizzano presenze di accoglienza e di accompagnamento nelle nostre comunità cristiane, anche riproponendo nel tessuto più tradizionale della nostra Chiesa modalità sperimentate nell’esperienza “fidei donum”? E una famiglia, inserita nel Direttivo di una comunità pastorale, non potrebbe essere, in assenza di un presbitero, il soggetto più adatto per essere punto di riferimento per una parrocchia o comunque per una comunità ecclesiale dotata di una propria identità e parte di una più vasta comunità pastorale?”

Io quindi gli avevo raccontato un’esperienza di corresponsabilità di cui lui aveva già scritto, indicandola come prospettiva per la Chiesa ambrosiana.

Io ed Elisabetta nel 2009 partecipiamo con tutti missionari degli stati andini ad un incontro organizzato dal CUM in Perù. Qui conosciamo Mattia e Corinna che venivano dall’esperienza laicale con i padri della Consolata e anche Giovanni e Chiara missionari in Perù: Nel parlare -al di là di pannolini e bambini- abbiamo scoperto questo: stessi sogni, stesse suggestioni.

Ritornati poi definitivamente in Italia, su consiglio di Don Gianni Cesena all’epoca responsabile nazionale dell’ufficio missionario, andiamo a trovare Marta e Marco già da diversi anni alla parrocchia Pentecoste. Pur conoscendo già alcuni dettagli dell’esperienza a Milano, il fatto stesso di poter visitare la casa di Marco e Marta e poter vedere nel concreto la loro realtà ci ha  indotto fin da allora a immaginare un percorso simile per il nostro futuro.

IL GRUPPO FAMIGLIE MISSIONARIE A KM0

Nel tempo a Pentecoste si avvicendano persone diverse: già nel 2007 Don Alberto era partito per il Perù come fidei donum e un nuovo parroco, don Ambrogio, aveva assunto il suo ruolo, accettando anche di proseguire l’esperienza di fraternità missionaria. Nel 2010 anche Marta e Marco lascia la parrocchia.

Il consiglio pastorale dopo un’attenta verifica dell’esperienza, riconferma il desiderio di avere una nuova famiglia residente in parrocchia e di mettere così nuovamente al cuore della comunità una forma di “comunione vissuta e testimoniata”, basata su un vero “scambio vocazionale” tra laici e presbitero.

Pentecoste rappresenta anche in questo passaggio di continuità un’esperienza significativa: non è stato un’idea estemporanea, un iniziativa personale, ma una scelta consapevole della comunità.

Dopo due anni di ricerca, nel 2012, Emanuela e Nicola con i loro bambini, mettono casa a Pentecoste e si riavvia la fraternità missionaria.

Chiara e Giovanni rientrano dal Perù nel 2013 e – come a Monopoli, “senza passare dal via”-, vanno a vivere nella parrocchia di Sant’Eugenio di Santa Maria a Vigano Certosino, in provincia di Milano . Il parroco, a sua volta in partenza come fidei donum, non poteva essere sostituito e la parrocchia sarebbe rimasta altrimenti disabitata. A loro il ruolo di “volto accogliente” della parrocchia e alcuni compiti di coordinamento.

In seguito all’avvio di queste due esperienze, cominciamo ad incontrarci con una certa regolarità, a desiderare di condividere e scambiare vissuti e riflessioni: ci vediamo, preghiamo, facciamo fraternità. Gli incontri sono pensati come un luogo aperto, di condivisione e di scambio, aperto a famiglie e preti, a chi è in discernimento, anche a chi ha già fatto esperienze simili e vuole elaborarle.

Tre preti in particolare dobbiamo ringraziare per l’accompagnamento, la pazienza e l’affetto: Don Antonio, responsabile dell’ufficio missionario diocesano, Don Ambrogio, parroco di Pentecoste e Don Donato, già fidei donum in Camerun. Qui ha vissuto un’esperienza di fraternità con preti e famiglie che vorrebbe riproporre e vivere di nuovo anche da parroco a Milano.

Partecipano al gruppo anche realtà della diocesi non legate al mondo missionario.

Christian e Cristina con don Roberto e Micaela, una laica, nel 2007, hanno dato vita a casa Nicodemo: Un’esperienza di vita comune tra vocazioni diverse (una famiglia, il parroco, una laica) presso la parrocchia di Pagnano di Merate. Qui propongono momenti di accoglienza e percorsi vocazionali per giovani e da qualche tempo anche per coppie di sposi.

Nel 2010 nasce poi la Fraternità Sei Giare presso la parrocchia Santi Martiri Anauniesi, nella comunità pastorale della Trasfigurazione, al quartiere Gallaratese a Milano. La parrocchia ha deciso di destinare i vecchi locali dell’ex asilo ad attività di accoglienza. Il piano terreno viene quindi occupato da due comunità educative per disabili e per ragazzi in difficoltà, mentre negli appartamenti al primo piano abitano le due famiglie di Daniela ed Enrico e Davide ed Elena. Una fraternità di famiglie accomunate da percorsi di accoglienza e di affido e che vive momenti di condivisione e di preghiera che coinvolgono quando possibile anche un prete residente.

Nel 2014 Marco e Maida, dell’Operazione Mato Grosso, rientrano dal Perù e vanno ad abitare nella parrocchia di San Giovanni a Bulciago, in provincia di Lecco. Come in Perù, si occupano  di un progetto pastorale rivolto in particolare ai giovani dell’oratorio, e stanno lavorando su uno stile di gestione corresponsabile della parrocchia.

Di recente abbiamo conosciuto anche due altre realtà. La prima, ad Albizzate, vicino a Varese. Don Mario e la famiglia di Marta e Paolovivono in canonica mettendo a tema tre dimensioni: la fraternità come custodia delle diverse vocazioni sacerdotale e matrimoniale; la condivisione in uno stile di vita evangelico; l’accoglienza. Di qui il nome scelto per la loro casa: Casa Betania. La seconda a Sesto San Giovanni (MI).

Io ed Elisabetta stiamo invece lavorando  su un progetto presso una chiesa sussidiaria di Bollate, un comune vicino a Milano. Se il progetto verrà avviato, sarà un’altra realtà che va ad aggiungersi a quelle già raccontato.

Con queste famiglie anche alcune altre in discernimento o in procinto di iniziare esperienze simili e preti che stanno ragionando su questo cammino.

Non approfondiamo qui le differenze tra le varie realtà. Ci sono certamente distinzioni di contenuto e differenze logistiche e organizzative: alcune esperienze mettono a tema la fraternità tra laici e presbiteri, in altre è sottolineato il ruolo pastorale e coordinativo, in altre più spinta la dimensione dell’accoglienza; qualcuno è in affitto, qualcuno in comodato, …).

Queste diversità non mettono tuttavia in ombra la comune radice: il sogno di una chiesa fraterna, missionaria e sempre più “casa” tra le case degli uomini.

IL DESIDERIO DEL GRUPPO DI ESSERE ACCOMPAGNATO E UNA CHIESA CHE SI FA COMPAGNA

Gli incontri proseguono per un anno e mezzo sperimentando via via, ciò che possiamo riassumere nelle parole che oggi abbiamo cantato insieme: “Come è bello, come dà gioia, che i fratelli stiano insieme”.  Abbiamo capito che c’era qualcosa di importante tra di noi e che era arrivato il momento di uscire dalla dimensione del “fai-da-te”.

Come essere Chiesa? Ci siamo detti con schiettezza: “Chi ci dice cosa siamo? chi ci dice come possiamo essere utili tra di noi, in quale direzione crescere insieme e come crescere per il bene delle comunità parrocchiali dove risiediamo?”

Nell’accorgerci di una realtà viva e ricca e nel capire che ciò che stavamo vivendo si avvicinava ai desiderata di Gesù, cresceva anche la consapevolezza che quei desiderata si realizzano se siamo uniti, se siamo Chiesa…e non si è pienamente Chiesa quando vivi gli incontri in maniera informale, quasi “carbonara”. Non solo.

Quale riferimento? In uno dei suoi interventi al gruppo, don Luca ha fatto l’esempio del quadro elettrico: ci dicevamo: “spesso ci sembra che la corrente vada via, che qualche chip o qualche connessione sia saltata. Quando succede questo, quale elettricista che dobbiamo chiamare?”. Nelle diocesi normali c’è il Vescovo e qualche collaboratore, nella diocesi di Milano, che è molto grande, è più difficile trovare dei riferimenti. La fortuna ha voluto che don Luca sia responsabile di tutti settori che afferivano a noi: missione, azione sociale, carità, cultura ed il suo ruolo coniughi il tema della famiglia con quello della missione.

Nel febbraio del 2014 chiediamo dunque un incontro con i responsabili dell’Ufficio Missionario, del Servizio Famiglia e con don Luca appunto, Vicario di settore, per raccontare le nostre esperienze e chiedere di essere accompagnati, di poter camminare con la nostra Chiesa.

In uno degli incontri precedenti ci abbiamo riletto questo pezzo di Lumen Gentium al Capitolo 12:

“Lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma « distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui » (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: « A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio » (1 Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione. Non bisogna però chiedere imprudentemente i doni straordinari, né sperare da essi con presunzione i frutti del lavoro apostolico. Il giudizio sulla loro genuinità e sul loro uso ordinato appartiene a coloro che detengono l’autorità nella Chiesa; ad essi spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono.

Abbiamo così incontrato la disponibilità della diocesi ad accompagnarci.

Questo percorso ha fatto sì che gli incontri siano continuati con la presenza dei responsabili degli uffici diocesani e guidati dai vicari di zona che, invitati a turno, ci hanno aiutato nella condivisione e nella riflessione. Ci siamo raccontati le difficoltà, ci siamo raccontati le criticità, le cose belle.

Da questo cammino è nata la proposta di questa giornata, una giornata in cui presentare alla diocesi, alle persone sensibili, ai curiosi ciò che c’è, non solo per stimolare le persone a prendere atto che questo gruppo esiste, ma anche per poter attivare quella curiosità nelle comunità per poter dire: ” anche da me si potrebbe fare “; o stimolare qualche vocazione in qualche famiglia: “anch’io lo posso fare “.

Un’occasione anche per ascoltare le voci di altri, come don Mario e Rossella; per educare il nostro pensiero e le nostre aspettative, per rafforzare la convinzione che questa esperienza non è ”di chi abita in parrocchia”, ma è della Chiesa, dei laici, dei preti,delle comunità.

ESPERIENZE IN ITALIA

In occasione di questo incontro abbiamo tentato di contattare anche altre realtà affini in giro per l’Italia che conoscevamo perlopiù per passaparola. Abbiamo scoperto un buon numero di esperienze avviate in diverse diocesi italiane: tutte esperienze nate in maniera assolutamente autonoma l’una dall’altra e senza conoscenza vicendevole, neppure tra realtà geograficamente vicine. Questo è un dato interessante, perchè ci fa riconoscere che non c’è un pensiero o un sentire comune su questo tema ma che, allo stesso tempo,non può passare inosservato un desiderio diffuso di fraternità, corresponsabiità e scambio vocazionale. Un istanza che ogni diocesi ha espresso in forme in qualche modo simili.

Ad alcune di queste realtà abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande che ci permettessero di mettere a confronto le diverse realtà e di “regalarci” alcuni spunti di riflessione che trovate sul sito.

Elenchiamo qui, diocesi per diocesi, le parrocchie che abbiamo contattato:

Diocesi di Firenze. Presso la parrocchia di Santa Lucia in Trespiano c’è un’esperienza storica partita nel 1990: due sposi, Renato e Michela, il giorno dopo il matrimonio, vanno a vivere in parrocchia. Un’esperienza bella perché, già nel 1990, era uno di quei posti dove l’esiguità del numero dei preti non avrebbe permesso di tenere aperta la parrocchia. L’ispirazione fu del vescovo, il cardinal Piovanelli. Renato e Michela hanno scritto un articolo sulla Rivista del Clero in cui raccontano la loro esperienza.

Diocesi di Fiesole. A Cavriglia, nei pressi di Arezzo, don Maurizio e i coniugi Alessandra e Samuele hanno dato vita alla Fraternità Cristo Sposo. Mettono a tema lo scambio vocazionale tra prete e coniugi con un riflessione specifica sui sacramenti dell’ordine e del matrimonio. La canonica nel tempo ha accolto giovani lavoratori, ragazzi in difficoltà, e molti altri, diventando un riferimento senza però darsi definiti compiti pastorali. La fraternità ha partecipato anche la sperimentazione della CEI sul tema parrocchia-famiglia.

Diocesi di Livorno. A Piombino, in località Cotone, Padre Carlo, missionario saveriano ed Emma, missonaria laica animano la vita della parrocchia e del Centro Fraternità Missionarie,riferimento formativo per  missionari che vogliono vivere una dimensione di vita fraterna e corresponsabilità. Con loro oggi una giovane famiglia rientrata dal Mozambico. Questa realtà rappresenta anche un vero “laboratorio ecclesiologico” dove si è molto riflettuto sul “volto missionario” della parrocchia.

Diocesi di Torino. Kenneth, prossimo all’ ordinazione diaconale(2015), vive con la moglie Eunice e i figli nella canonica di San Lorenzo, parrocchia di Altessano. A Rocca Canavese-Leinì, don Diego vive con una famiglia con una lunga esperienza da operatori pastorali in oratorio.

Diocesi di Treviso. A Nervesa della Battaglia, nella casa dei laici missionari della Consolata, Riccardo e Chiara cuna, originari della diocesi di Milano, ospitano alcuni padri missionari per un’esperienza di vita fraterna.

Diocesi di Verona. A Castagnè due coniugi, Beppe e Anita -alle spalle alcuni anni  come missionari in Etiopia, hanno scelto di lasciare la loro casa ai figli ormai grandi e trasferirsi in un centro pastorale altrimenti in disuso. Continuano, parallelamente all’impegno in parrocchia, l’attività di formatori dei giovani in ambito missionario.

Diocesi di Vicenza. Tre le esperienze di famiglie dell’Operazione Mato Grosso: Anna e Andrea a San Pietro intrigogna, altre due famiglie a Montemalo e Restena. Citiamo anche Donata e Marcellino che vivono presso la canonica di Terrossa con cui però non ci è stato possibile avere un contatto diretto.

Abbiamo notizia di altre realtà fraterne, ma non esattamente assimilabili alla precedenti, a Bologna, Forlì-Cesena, Ravenna, Carpi. A Pistoia Marco e Ilaria, già citati, vivono con un’altra famiglia francescana un’esperienza di vita comune. Pur non risiedendo in canonica, hanno fatto una scelta di servizio pastorale in  parrocchia.

Vogliamo qui sottolineare che non si tratta di una mappatura scientifica nè di una lista esaustiva. Probabilmente sfuggono al nostro elenco molte altre realtà. Anche per questo abbiamo scelto di lasciare il sito online: rimarrà un “luogo digitale” accessibile a tutti, per raccogliere storie, testi e immagini…e per lasciare traccia di questo incontro aperto.