Intervento di don Ambrogio Basilico al gruppo Famiglie missionarie a Km0 della Diocesi di Milano, 16 Aprile 2016, Vigano Certosino

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 Dalla prima lettera a Timoteo (1Tm 4, 6-16)

6Se darai queste istruzioni ai fratelli nella fede, tu sarai un buon servitore di Cristo Gesù; mostrerai di essere stato nutrito dalle parole della fede e dalla buona dottrina che hai seguìto. 7Non dare ascolto a favole stupide e insensate.

Allenati continuamente ad amare Dio. 8Allenare il corpo serve a poco; amare Dio, invece, serve a tutto. Perché ci garantisce la vita quaggiù e ci promette la vita futura. 9Questa è una parola sicura, degna di essere accolta e creduta. 10Infatti noi lavoriamo e lottiamo, perché abbiamo messo la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto di quelli che credono.

11Queste sono le cose che tu devi raccomandare e insegnare. 12Nessuno deve avere poco rispetto di te perché sei giovane. Tu però devi essere di esempio per i credenti: nel tuo modo di parlare, nel tuo comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza.13Fino al giorno del mio arrivo, impègnati a leggere pubblicamente la Bibbia, a insegnare e a esortare.

14Non trascurare il dono spirituale che Dio ti ha dato, che tu hai ricevuto quando i profeti hanno parlato e tutti i responsabili della comunità hanno posato le mani sul tuo capo. 15Queste cose siano la tua preoccupazione e il tuo impegno costante. Così tutti vedranno i tuoi progressi. 16Fa’ attenzione a te stesso e a quel che insegni. Non cedere. Facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.

 

Questo brano fa parte di una lettera di raccomandazione che Paolo scrive ad uno dei suoi principali collaboratori. E al suo discepolo dà quattro raccomandazioni: Allenati continuamente ad amare Dio; Cerca di essere di esempio per i credenti; Leggi pubblicamente la Bibbia; Non trascurare il dono dell’imposizione delle mani (questo probabilmente è uno dei primi riferimenti al sacramento dell’Ordine)

È evidente che queste raccomandazione valgono innanzitutto per i ministri per questo mi sento chiamato in causa soprattutto io come prete. Tuttavia, a mio avviso, ci sono indicazioni utili anche per tutti quelli che, a partire da vocazioni diverse e con forme diverse, si mettono al servizio del Regno di Dio nella Chiesa e in quella porzione di Chiesa che è la parrocchia.

 

Una fede che diventa carne

Mi soffermo in modo particolare sulla prima indicazione: “allenati continuamente ad amare Dio”. L‘espressione amare Dio è tradotta in modo diverso nelle diverse versioni della Bibbia (cfr. note della Bibbia CEI), ha la sua origine nel termine greco eusèbeia in greco o pietas in latino, assai frequente nelle lettere di Paolo che sta ad indicare l’aspetto pratico/quotidiano della fede. Da qui l’invito ad esercitarsi/allenarsi.

Paolo invita cioè Timoteo a prestare attenzione all’aspetto pratico e quotidiano della fede, cioè ad una fede che diventa “carne”, che diventa cioè visibile in scelte e stili di vita immediatamente evangelici, o percepiti come tali, e ad una fede che si lascia interpellare dalla carne, cioè dalla vita concreta delle persone che sono il nostro prossimo. Qui, secondo me, si situa l’esperienza che ognuno di noi fa o vorrebbe fare -pur nella diversità delle forme- in parrocchia.

Un esempio: il fatto che al cuore della parrocchia ci sia un’esperienza di fraternità o di vita comune o di accoglienza fra preti e famiglia, fra preti e consacrati, in una comunità di famiglie, … è un segno che va in questa direzione: dare carne alla fede. La fede diventa stile di vita quotidiano (e questo è già annuncio del Vangelo), lo stile contribuisce a dare a tutta la parrocchia un volto più evangelico.

Se questo non accade il rischio fortissimo è che la parrocchia sia vista come un centro di servizi e noi preti come dei funzionari. Chi, per qualsiasi motivo passi per la parrocchia, dovrebbe poter dire andando via: “lì c’è gente che si allena ad amare Dio”.

Su questo papa Francesco nell’ Evangelii Gaudium ha scritto parole forti in particolare nei numeri 87-92: 

  1. Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. […] Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo. 
  1. L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo […] L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.

Papa Francesco parla di una mistica del vivere insieme: è uno degli aspetti dello “stile missionario” che Papa Francesco auspica per la Chiesa.

“Stile” che non riguarda solo o principalmente la comunicazione e le relazioni con l’esterno ma che si traduce in un modo di vivere.  Che ci sia in parrocchia qualcuno che ha deciso di vivere insieme è un segno di Vangelo: a maggior ragione oggi, ed in particolare in certi contesti segnati dall’individualismo, dalla voglia di ritirarsi, di appartarsi.

Io sono sempre più convinto che la missionarietà della Chiesa parrocchia, prima che nelle iniziative, si veda dallo stile, da come, dove, con chi viviamo concretamente, non in teoria. Com’è la mia casa? chi ci vive? di cosa mi occupo durante il giorno? con chi mi relaziono? chi ci entra nella mia casa?

 

Una fede che si lascia interpellare

C’è anche un altro versante di questo “allenarsi ad amare Dio”: non solo una fede che diventa carne (stile di vita concreto, quotidiano, visibile abbiamo detto) ma anche una carne che interpella la nostra fede.

Qui penso alle persone concrete che abitano nel territorio della parrocchia. Tutte: non solo quelle che frequentano la comunità o gli “impegnati”. Penso che chi vive in parrocchia sia fortemente avvantaggiato: perché le nostre parrocchie, ed in particolare alcune, hanno conservato un carattere ‘popolare’ e non elitario a differenza dei movimenti che sono per loro natura selettivi.

Per il solo fatto di vivere in parrocchia c’è un’umanità, cioè una carne che ti viene a cercare e ti interpella.  La mia fede/umanità deve molto a questo carne, alle persone concrete che ho incontrato in questi anni di parrocchia, e principalmente in questo anni in cui son parroco. E devo molto in particolare a quelle situazioni di umanità problematica che mi provocano, mi interpellano e mi obbligano a fare cose che magari per comodità o pigrizia non avrei fatto. Mi obbligano guardare il mondo con occhi diversi dai miei, di ‘milanese benpensante’.

I poveri, questa umanità degradata con cui spesso vengo messo a contatto, sono per me “gli amici importuni”. Penso che chi vive in parrocchia sia aiutato da questo amici importuni che, nell’importunarti, ti obbligano ad allenarti ad amare Dio. Questo sarà possibile soprattutto se facciamo del nostro meglio perché le nostre parrocchie conservino un volto popolare e non di élite, perché rimangano parrocchie accessibili anche a quelli più sgarrupati, ai poveri, non solo a quelli motivati, in ricerca, impegnati.

 

Leggere la realtà attraverso la Parola di Dio: un tesoro da non dare per scontato 

C’è un ultimo aspetto che riguarda il richiamo di Paolo a Timoteo di “leggere pubblicamente la Bibbia”. Un aspetto molto legato alla nostra realtà di parrocchie ambrosiane. Mi rendo conto che anche su questo noi siamo fortunati: abbiamo avuto un vescovo come Carlo Maria Martini che ha lasciato un’impronta profonda rispetto alla centralità della Parola di Dio.

Non penso solo al forte contributo che ha lasciato riguardo alla conoscenza e all’approfondimento della   Bibbia come la promozione della lectio divina, le Scuole della Parola, i numerosi libri e corsi di esercizi, …: questo va ad intercettare sempre e ancora solo dell’élite, gli impegnati.

Penso soprattutto al fatto che ci ha insegnato ad usare la Parola di Dio per giudicare e fare le nostre scelte concrete. E questo è un tesoro che, a mio avviso, non dobbiamo dare per scontato.

Per questo penso che la prima cosa che dovremmo condividere, noi che viviamo in parrocchia, sia proprio la Parola di Dio.