Don Ambrogio lascia la Parrocchia Pentecoste dopo 13 anni, il nuovo incarico alla parrocchia del Curato D’Ars nel quartiere Giambellino. A Quarto Oggiaro il passaggio di testimone è con don Augusto Bonora che sarà parroco della Comunità Pastorale.

Nel cammino verso Gerusalemme ad un certo punto Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta sul monte Tabor dalla cui vetta si gode un ottimo panorama sulla Galilea e sulla pianura di Saron. Lì sul Tabor i tre apostoli privilegiati fanno un’esperienza straordinaria: vedono Gesù in tutta la sua gloria conversare con Mosè ed Elia. E Pietro (il solito!) se ne esce con questa espressione: “è bello per noi stare qui: facciamo tre tende….” Ma Luca annota subito: “Egli non sapeva quello che diceva”. E l’incantesimo finì presto. E tornarono giù a valle. E ripresero il cammino verso Gerusalemme; ma, immagino, con una marcia in più, portandosi dentro quell’esperienza straordinaria che avevano fatto sul Tabor. Cfr Lc 9,28-36 Sono un po’ gli stessi sentimenti che abitano in me in questi ultimi mesi.

Mi appresto, come sapete, a trasferirmi in un’altra parrocchia di Milano (S. Curato d’Ars al Giambellino) e a lasciare la Pentecoste. E, come ho già avuto modo di dire, questa è una decisione da me condivisa. Ormai da un anno a questa parte mi sentivo come Pietro sul Tabor: arrivato. E rischiavo di sedermi. E se c’è una cosa che ho capito è che uno dei nemici della fede è proprio la sedentarietà, il desiderio di tranquillità.

Parafrasando una celebre frase di A. Einstein direi che la fede “è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”.

E allora per me questo è il momento di muovermi: di togliere i picchetti della tenda e riporla nello zaino e rimettermi in cammino. E questo mi sembra (per me e per la Pente) il momento opportuno. E per questo mi pacerebbe (nel mese di settembre) fare, oltre agli esercizi spirituali, anche un cammino vero, un pellegrinaggio: sognavo di fare il “cammino di Santiago” de Compostela (ma forse non è l‘anno migliore per poterlo fare) e probabilmente opterò per la via Francigena (Milano-Roma e ritorno) con la mia fedele amica: la bici da corsa.

E mi rimetto in cammino, proprio come successo a Pietro & co., decisamente arricchito dall’esperienza in Pentecoste. Dove ho imparato (per esempio) che le relazioni contano più delle strutture. Che pure ci vogliono (come ben sappiamo) ma senza le “pietre vive” le strutture rischiano di essere dei bei monumenti …. funebri.

Qui più che altrove ho imparato che la missione (cristiana) non consiste nell’organizzare tante cose per aggregare tante persone e neanche nell’andare in giro ad agganciare persone per portarle in Chiesa, ma nel vivere in letizia la propria fede e testimoniarla (dentro e fuori la Chiesa) con uno stile di vita fraterno ed accogliente. Il resto lo fa, se vuole, lo Spirito Santo. Qui più che altrove ho capito l’importanza della vita fraterna.

L’esperienza della fraternità con una famiglia (in realtà con 3 diverse famiglie in questi 13 anni), esperienza che qui ho trovato e che ho abbracciato, è stata per me, e spero anche per la parrocchia, molto importante e formativa. E mi ha convinto che per un prete è decisivo dove vive, come vive e con chi vive, più ancora che tante prediche o teorie. E mi ha convinto che una parrocchia è viva se al suo cuore ci sono persone (meglio se con carismi diversi) che vivono insieme in virtù del Vangelo. Altrimenti la parrocchia rischia di essere un centro di servizi: dove si va per prendere qualcosa di utile. Qui in Pentecoste ho fatto un’esperienza intensa fatta di relazioni di amicizia belle, sono entrato nelle case di molte persone, ho partecipato alla trasformazione del quartiere (con l’arrivo di tante famiglie nuove) e della parrocchia (con la costruzione della nuova chiesa), ho avuto modo di accompagnare i momenti significativi di tante persone e famiglie (all’inizio o al termine della vita, nei sacramenti dell’iniziazione, nei Matrimoni, nei voti perpetui), ho partecipato all’accoglienza di tante persone bisognose, ho avuto modo di stare vicino ai ragazzi e a giovani (in Oratorio e negli scout), ho vissuto questo tempo tremendo e straordinario della pandemia ….. e soprattutto mi sono (da subito e sempre) sentito a casa: stimato e voluto bene ben più di quello che merito. Lo so, sono un maschio lombardo adulto, un po’ orso: poco incline ad esternare i miei sentimenti, più incline lavorare per “mandare avanti la baracca” (cit. beato don Gnocchi, prete ambrosiano). E non mi riconosco nemmeno doti profetiche: sono più un prete badilante: che cerca di fare le cose ordinarie nel modo più dignitoso ed evangelico possibile. Ma mi avete accettato lo stesso. E questo per un prete è importante, credetemi.

Forse è questo è ciò di cui parla Gesù quando promette il “centuplo quaggiù” per coloro che lo seguono…. E per questo non è per niente facile per me lasciare la Pentecoste, soprattutto in questo tempo incerto. Anche a me (come a Pietro) verrebbe da dire: “è bello stare qui”: piantiamo la tenda, stabiliamoci. Ma è una tentazione: bisogna muoversi. E allora vado al Giambellino.

E vado fiducioso: se qui abbiamo nientemeno che lo Spirito Santo come “patrono” della nostra parrocchia, là sarò sotto lo sguardo del S. Curato d’Ars, patrono dei parroci, prete dalle scarse doti umane ma tutto dedito alla sua missione. E, da quello che ho capito dai primi incontri e racconti, troverò una comunità non molto diversa dalla Pentecoste e in un contesto sociale simile. E (anche lì) in cammino verso una comunità pastorale, tutta da inventare.

E vado sereno anche perché so che la comunità della Pentecoste è in buone mani. In questi 13 anni non mi sono mai sentito solo quando c’era da prendere qualche decisione: alla Pentecoste non mancano laici preparati e corresponsabili, oltre che collaboratori generosi.

Del resto lo Spirito Santo non poteva certo fare una brutta figura con una parrocchia a Lui dedicata!

E don Augusto (che da settembre prenderà le redini della comunità parrocchiale e della nascente Comunità pastorale) è persona che conosco e che stimo molto. Il passaggio alla Comunità Pastorale non sarà una passeggiata; ma qui ci sono tutte le condizioni per poterlo fare senza traumi.

E bisogna anche fidarsi un po’ dello Spirito!

Non so se a settembre o ottobre sarà possibile organizzare un momento comunitario di saluto (dipenderà dall’evoluzione della pandemia) ma certamente avremo modo di vederci e salutarci. Buone vacanze e buon cammino

Don Ambrogio