Laura e Pier dal 2015 vivono come “famiglia di riferimento” della “Casa di Chiara” legata al CAV, un alloggio per giovani madri o nuclei mamma-bambino. Un’esperienza di accoglienza fortemente legata con la vita parrocchiale che intreccia prossimità e annuncio del Vangelo.

Una testimonianza di Laura alla Parrocchia S.Maurizio di Vimercate. Versione PDF>>

Il ramo di mandorlo – la riflessione di Laura con il decanato di San Giuliano. Vai alla news>>

KM 0 versus ACCOGLIENZA? 

Una riflessione di Laura e Pier Taverni.

I sapori di una volta, la filiera corta, le scelte di tendenza a livello di prodotti alimentari ci aveva sempre affascinato ma non avremmo mai pensato di essere etichettati con la stessa logica: famiglia a km0. Anche perché dovrei definire rispetto a quale distanza di riferimento…. A guardar bene proveniamo da una filiera piuttosto lunga sia nel tempo che nello spazio.

Se qualcuno ci chiedesse quando siamo entrati a far parte delle Famiglie km0, forse non  sapremmo rispondere. Qualcuno ci ha ‘riconosciuto’, ci hanno detto che il nostro stile di vita assomigliava a quello di questa strana filiera corta che si è messa in testa l’assurda idea di ridare alla chiesa lo stile di una comunità di vita. Non solo una comunità di culto o servizi (liturgico, caritativi, educativi oratoriali) ma prima di tutto relazioni.

Nei vangeli si legge che quando Gesù manda i suoi a fare dei servizi anche quelli missionari innanzitutto e prima li fa stare con lui…lo stare con lui e tra loro (la vita comune) è la condizione per non essere trasformati in agenzia di servizi religiosi.

Noi ci siamo trovati in questa esperienza dopo diversi percorsi.

Siamo cresciuti in oratorio, abbiamo fatto esperienza di missione in Marocco con le suore di Madre Teresa, in India tra i lebbrosi, abbiamo accolto bambini con problemi di salute all’inizio del nostro matrimonio. Dopo la nostra prima figlia, Benedetta che oggi ha 14 anni, ci siamo aperti all’affido accogliendo 9 anni fa Omar, che oggi ha 12 anni. Quando è arrivato a casa nostra diversi amici ci hanno detto frasi del tipo  “meno male che ci sono persone come voi” … “io non potrei… sarebbe troppo doloroso poi staccarsi” … “state attenti a non affezionarvi troppo…” . Questo ci ha interrogato come coppia e come genitori. Vale la pena voler bene a qualcuno solo quando si è sicuri che è per sempre e solo se ‘è nostro’? Forse questo snatura la vera essenza dell’amore, nella sua gratuità… Sbaglieremmo se infatti affidassimo aprioristicamente il valore dell’esistenza o delle esperienze alle clessidre: chi vive di più, vive meglio o le relazioni che durano di più sono le più significative. Lo abbiamo sperimentato con la nostra prima figlia, nata piccola e fragile, tanto da tenerla su un palmo di una mano. Non sapevamo in quel momento quanto sarebbe stata con noi, quanto avrebbe potuto vivere. Ma mai, neanche un attimo abbiamo pensato che la sua esistenza potesse essere inutile per la sua brevità. L’amore rende prezioso ogni minuto, ogni istante di quel che ci è concesso di vivere. Allora abbiamo recuperato il vero senso del voler bene, che dà senso a tutti quegli attimi di amore quotidiano.

I figli sono una grande occasione per migliorarsi. L’affido per noi è stata occasione di crescita nella genitorialità e non solo verso i nostri figli.

Il fuoco della missione è un fuoco che sempre arde…

Nel 2015 abbiamo accolto la proposta del CAV (Centro di Aiuta alla Vita) di Vimercate di trasferirci come “famiglia di riferimento” della “Casa di Chiara”. Chiara Farina, lasciava una vecchia casa al CAV di Vimercate per realizzare un alloggio per ragazze rimaste sole in gravidanza o con bambini piccoli. La richiesta era, come famiglia,  di accompagnare il quotidiano di queste donne e bambini con le tipiche dinamiche del focolare domestico allargato, della presa in carico condivisa dei bisogni pratici, ma innanzi tutto di accudimento affettivo. Un modello che intrinsecamente supera la “cultura dello scarto” cui costantemente ci invita Papa Francesco, integrando la marginalità. Il “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” evangelico, costruiva legami, radicava nel territorio e generava ricchezza, una vera e propria microeconomia che “metteva in moto”: in questo modo il problema, l’apparente scarto sociale, si trasforma in risorsa.

Dopo aver formato un gruppo di lavoro, con volontari e operatori, che camminasse con noi, ci siamo aperti al territorio (con laboratori, eventi aperti a tutti). Occasione preziosa per noi e le nostre ‘mamme’ per costruire relazioni e reti significative. Le ospiti non solo oggetto di aiuto, ma soggetto partecipante alla presa in carico globale e condivisa. L’accompagnamento nella condivisione “alla pari” del quotidiano della casa è stata la via dell’integrazione e del cambiamento.

 

Non potevamo, però, pensare l’accoglienza senza la parrocchia, realtà in cui pian piano ci siamo inseriti. E così la casa è diventato luogo di accoglienza per i ragazzi dell’Iniziazione cristiana, per i diciottenni, per le coppie di fidanzati che sono venuti ad incontrarci e condividere il nostro modo di essere famiglia, nello stile conviviale e appassionato che ci caratterizza.

Avevamo chiaro che eravamo lì per aiutare le mamme  che ci venivano affidate ma abbiamo anche cercato di essere ‘docili allo Spirito’, facendoci interrogare dalle circostanze che man mano ci si presentavano davanti come ad esempio gli incontri con sacerdoti, religiose, laici che hanno trovato nella nostra casa a volte un nido per rifugiarsi, a volte un luogo di confronto, altre volte semplicemente uno spazio in cui stare bene tra amici.

Quando siamo andati a vivere a Casa di Chiara, sapevamo che si trovava in una Comunità Pastorale. Avremmo potuto concentrarci sulla specifica esperienza, magari costruirci una cappella privata….Qui lo stilo ambrosiano si è fatto sentire: abbiamo pensato che se quella era la parrocchia in cui il Signore ci aveva chiamati, forse ci corrispondeva. E così abbiamo iniziato a contattare il prete in occasione dell’iscrizione al catechismo di Benedetta. Non abbiamo scelto quella comunità ma abbiamo iniziato a viverla come luogo in cui incontravamo una Presenza. Abbiamo iniziato a dare una mano nella pastorale giovanile, nel CAEP e pian piano siamo entrati sempre di più nel quotidiano.

In parrocchia non ci sentivamo di dover andare solo per svolgere un servizio, un compito ma fin dall’inizio ci siamo sentiti chiamati a fare Chiesa. Cosa significa? “I care” di Don Milani.

Dopo tanti anni passati negli oratori e nelle parrocchie ci siamo resi conto che era necessario cambiare sguardo: non ti propongo un attività dell’oratorio ma la condivisione di un percorso nella speranza di condividere fraternità e vita. Ci siamo sentiti chiamati a diventare cerniera tra la comunità e le persone che incontravamo ma anche facilitatori (a volte mediatori) tra il prete e la comunità. Per far questo era necessario mettere in gioco la nostra vita, aprire la nostra casa, dare tempo non solo ai servizi ma anche e soprattutto alle relazioni.

“Vi do un comandamento nuovo che vi amiate gli uni gli altri” è alla base del servizio ecclesiale. Le persone vengono perché la comunità le ami, come ci ha amato Gesù. Se non scatta che stai li perché ti è stato comandato di amare quei fratelli, tutto quello che fai non serve.  I contenuti sono funzionali alla relazione e non il contrario. Il Papa parla di ‘civetteria spirituale mondana’ (discutere di teologia senza spendere propria vita nella relazione). Occorre entrare nelle vite, nelle famiglie….e quando si lavora sui contenuti è bene ricordare che i contenuti sono per stimolare la fede… e che anche dietro a ogni piccolo aspetto pratico, a ogni scelta, c’è una visione, che siamo chiamati a condividere.

 

L’esperienza dell’accoglienza non può essere solo raccontata occorre viverla facendo posto alla tavola, stringendosi un poco intorno alla tavola del proprio focolare domestico, rompendo talvolta la monotonia delle nostre esperienze. I nostri figli con naturalità vivono l’accoglienza di amici, oltre che dei parenti. Ci tengono a scegliere la preghiera iniziale ai pasti che Laura prepara. Lo stile conviviale ha reso fecondo il nostro matrimonio. E’ un nuovo stile di chiesa. Ed è proprio intorno a tavoli in cui si condivideva il cibo ( e quindi il cuore), che abbiamo costruito, immaginato, inventato le relazioni e i progetti pastorali più fecondi. Sono nate delle amicizie che non sarebbero nate o cresciute forse in riunioni.

Certo a Vimercate ci eravamo andati per ragazze madri e poi ci siamo trovati a vivere un’esperienza più grande. La Chiesa non si esaurisce in un obiettivo funzionale ma sempre  trascende e ti aiuta ad andare oltre, ti sposta lo sguardo: da obiettivi specifici a quello che non ti sei dato. Come Giovanni quando dice a Pietro “arriverà tempo in cui un altro ti cingerà vesti e ti porterà dove tu non vuoi”. La bellezza del cammino di fede è la bellezza di incontri di quello pensato, non pensato e di quello di cui avresti fatto anche a meno.

E forse anche l’idea di famiglia a Km0 può essere ampliata, arricchita, diversificata….e forse qualcun altro come noi condivide l’idea che se da un lato è fecondo connettere le esperienze di accoglienza alla chiesa in cui sono chiamate a vivere, dall’altro diventa sempre più importante pensare le parrocchie anche come luoghi di accoglienza e missione.

Un ultima considerazione. Queste esperienze, che siano missionarie, di accoglienza, a Km0, devono innanzitutto far bene a noi. Non dobbiamo farlo solo per gli altri o per riesumare nostalgicamente la vita d’ oratorio.

Mai deve mancare il tempo e il desiderio di godersi le cose con gioia: i propri interessi, i figli, le amicizie. E soprattutto la passione di custodire la relazione di coppia, luogo in cui prendersi cura l’uno dell’altro.