« Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà ». Mt 24, 37-44                             

E’ di nuovo tempo di Avvento, tempo per volgere la nostra attenzione alle cose venture, a ciò che deve accadere e a Colui che deve venire. Tempo di smettere la fatica di Sisifo, la fatica cioè che ricomincia sempre da capo e non conduce mai a nulla. La fatica di Sisifo, secondo il mito greco antico, era quella di far rotolare verso la cima di un monte una pietra pesante, la quale infallibilmente, appena raggiunta la prossimità della cima, sfuggiva alle sue mani e precipitava improvvisa fino alla base del monte. Il destino infernale di Sisifo è connesso dal mito alla vita di quel personaggio, noto per la sua astuzia e per essere riuscito più volte ad eludere la morte.

Come quella di Sisifo appare la fatica di vivere all’uomo ripiegato sul presente, e tutto preso dall’opera di aggiungere al presente tutto quello che manca: sempre da capo sembra che ciò che manca sia poco, che la cima del monte sia vicina; ma poi invece la pietra rotola da capo in fondo al monte. L’uomo è come sorpreso, in questa fatica, da ciò che avviene alle sue spalle, da ciò che lo raggiunge senza essere stato previsto ed atteso. «Così sarà la venuta del Figlio dell’uomo». Come fu ai giorni di Noè: mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito, si occupavano dunque di aggiungere ciò che mancava al loro presente, finché venne il diluvio e non si accorsero di nulla. «Così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo» ripete Gesù, ed aggiunge quelle due immagini meno cruente, e tuttavia ancor più parlanti nella loro concretezza e prossimità alla vita quotidiana: «allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata».

Che cosa c’è di più familiare e rassicurante della vicinanza gomito a gomito di due uomini che lavorano al campo, o di due donne che lavorano in casa? Eppure Gesù dice che no, quel legame dell’uomo con l’uomo non è sicuro, sta come tutto il presente sotto il segno della precarietà, sotto il segno della minaccia portata dalle cose venture. Ma se nulla si sottrae alla minaccia – così sembra di dover concludere – neppure vale la pena di stare perennemente in guardia, quasi a difendersi da un male che comunque è inevitabile. Davvero il Figlio dell’uomo minaccia le nostre case come un ladro notturno? Paolo, nella seconda lettura, parla un altro linguaggio: anch’egli esorta a svegliarsi dal sonno, ad uscire da quel torpore dello spirito che nasce dalla fissazione ossessiva alle cose presenti – ai «desideri della carne», come lui li chiama – ma non per difendersi da un ladro che sta per scassinare la casa, piuttosto per aprire la porta alla salvezza ormai vicina. Torna subito alla mente la bella immagine dell’Ap: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

Chi è il Figlio dell’uomo? Un ladro che ti deruba del presente, oppure un ospite che finalmente riempie la desolata solitudine della tua casa? Dipende da te: se tu difendi il tuo presente quasi fosse un tesoro, esso ti sarà tolto all’improvviso, e tutta la tua fatica apparirà improvvisamente vana; ma se invece tu riconosci il tuo presente come vuoto ed incolmabile, e lo rivolgi tutto intero in attesa vigilante di colui che deve venire, allora Egli verrà, tu subito distinguerai i suoi passi e il tocco discreto della sua mano alla tua porta, gli aprirai come si apre ad un ospite lungamente aspettato; egli entrerà nella tua casa senza in alcun modo scassinarla.

«Vegliate»: questo l’invito insistente della prima Messa di Avvento. Ma è troppo faticosa questa vigilanza nella notte: come tenere a lungo gli occhi fissi su un futuro remoto e implausibile, del quale non si riescono a distinguere in alcun modo i contorni? Questa la nostra obiezione. Ma è un’obiezione che non regge. In realtà, assai più faticoso è tenere fuori dalla porta colui che bussa, e cercare in tutti i modi di cancellare quel rumore sommesso dalla nostra vita.

Più vere erano le parole di Adamo, quando Dio si mosse a cercarlo: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10). Ma anche a lui il Signore risponde: Non nasconderti, Adamo, non difendere la tua nudità, anzi confessala apertamente di fronte a me, e ti darò un vestito bianco capace di conferire bellezza nuova e inaspettata anche ai tuoi giorni presenti.